Dammi 3 parole

DAMMI 3 PAROLE

Quando si costruisce l’Identità Visuale degli artisti, ci sono due elementi che ne sanciscono l’efficacia: la coerenza e la veridicità.

Dopo i primi 20 minuti di Tàr, mi sono chiesta quante persone lontane dalla musica classica si sarebbero demoralizzate e avrebbero smesso di vederlo.

Un fiume in piena di citazioni, riferimenti, storie che davvero solo chi vive in questo ambiente può arrivare a metabolizzare in così poco tempo e con quel ritmo incalzante. Ma Cate Blanchett è straordinariamente nella parte e trascina chiunque, un’interpretazione a pelo d’acqua, hai l’impressione che stia affogando e lei ritira invece fuori la testa per prendere fiato, un mostro di bravura.

Il film è fatto benissimo dal punto di vista musicale e artistico, giusto un paio di termini forse un po’ forzati ma il resto perfetto, magistrale direi.

Ma non è questo il punto.

Quando lessi i commenti avvelenati di Marin Alsop sul film, ammetto che mi sembrò esagerata. Insomma, finalmente un film sul nostro ambiente e sulla figura della direttrice d’orchestra, ruolo maschile per eccellenza solo fino a pochi anni fa.

Invece ora la capisco.

E non comprendo piuttosto come possa essere stato possibile perdere così smaccatamente l’occasione di raccontare le virtù ma anche le debolezze, insomma la storia con le sue iperboli di una donna di musica, una grande artista, senza attribuirle però tutte le peggiori caratteristiche proprie di un certo tipo di uomo quando si approfitta della sua posizione di leader. Come dice giustamente la Alsop nella sua intervista al Sunday Times: “ci sono tanti uomini veri sui quali questo film avrebbe potuto essere basato invece hanno messo sul podio una donna e le hanno dato tutti gli attributi di quegli uomini. Mi sembra una mossa contro le donne. Presumere che le donne si comportino in modo identico agli uomini o diventino isteriche, pazze, instabili significa perpetuare un’immagine che abbiamo visto al cinema già molte volte”. Ecco l’articolo apparso sul Corriere della Sera nel gennaio 2023.

Dopo i primi 20 minuti di Tàr, mi sono chiesta quante persone lontane dalla musica classica si sarebbero demoralizzate e avrebbero smesso di vederlo.

Un fiume in piena di citazioni, riferimenti, storie che davvero solo chi vive in questo ambiente può arrivare a metabolizzare in così poco tempo e con quel ritmo incalzante. Ma Cate Blanchett è straordinariamente nella parte e trascina chiunque, un’interpretazione a pelo d’acqua, hai l’impressione che stia affogando e lei ritira invece fuori la testa per prendere fiato, un mostro di bravura.

Il film è fatto benissimo dal punto di vista musicale e artistico, giusto un paio di termini forse un po’ forzati ma il resto perfetto, magistrale direi.

Ma non è questo il punto.

Quando lessi i commenti avvelenati di Marin Alsop sul film, ammetto che mi sembrò esagerata. Insomma, finalmente un film sul nostro ambiente e sulla figura della direttrice d’orchestra, ruolo maschile per eccellenza solo fino a pochi anni fa.

Invece ora la capisco.

E non comprendo piuttosto come possa essere stato possibile perdere così smaccatamente l’occasione di raccontare le virtù ma anche le debolezze, insomma la storia con le sue iperboli di una donna di musica, una grande artista, senza attribuirle però tutte le peggiori caratteristiche proprie di un certo tipo di uomo quando si approfitta della sua posizione di leader. Come dice giustamente la Alsop nella sua intervista al Sunday Times: “ci sono tanti uomini veri sui quali questo film avrebbe potuto essere basato invece hanno messo sul podio una donna e le hanno dato tutti gli attributi di quegli uomini. Mi sembra una mossa contro le donne. Presumere che le donne si comportino in modo identico agli uomini o diventino isteriche, pazze, instabili significa perpetuare un’immagine che abbiamo visto al cinema già molte volte”.

Non solo un peccato non aver approfittato dell’opportunità in altro modo ma è un risultato che fa infuriare, perché mina nell’immaginario collettivo l’affidabilità di una donna in ruoli di potere e decisionali. Ed è un colpo duro da incassare quando già la situazione non è proprio rosea, per usare un eufemismo.

In Italia, la leadership al femminile nella musica classica è ancora a livelli medievali, con il 98% dei ruoli al vertice nelle Fondazioni Liriche, nei Festival, nelle istituzioni affidato a uomini, a differenza ad esempio dei musei che per il 70% sono in mano a donne.

Insomma, la vocale A proprio non piace negli uffici delle governance dei teatri: e pensare che è proprio la nota con la quale l’orchestra accorda, quella da cui tutto parte e a cui tutti fanno riferimento.

E poi.

La Sovrintendente del Teatro alla Scala, la Presidentessa dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, ma non sentite come suona bene?

Come Musica, del resto: che infatti finisce con la A.

Tiziana

👉 Un articolo che parla di 6 artisti favolosi che usano i social e la loro immagine in maniera perfetta. Si chiama 6 SOCIAL.

T'IMMAGINI

Il campione di incassi per eccellenza della musica classica: la musica che si vede, Le 4 Stagioni di Antonio Vivaldi, un must. In due interpretazioni: una classica, l’altra dirompente. Qual è la vostra preferita?