Musica d’Arte

Qualche sera fa, finito di lavorare, ero particolarmente stanca e non avevo voglia di continuare a fare ricerche e pensare a cose serie. Quindi decido di aprire il mio profilo privato Facebook, che ha una privacy chiusa e nel quale sono in contatto solo con persone vicine o familiari, per farmi un giro completo, leggere qualche opinione interessante o anche solo per farmi due risate con qualche idiozia divertente.

L’apertura subito mi fa sorridere, un direttore artistico che si scaglia contro i social, ovviamente dai social. Cioè praticamente: l’alcol fa male, quindi brindiamo, una cosa del genere. Continuo a scorrere: lo pseudo critico musicale, cosciente del fatto che già non contava niente prima, figurati adesso, che si scaglia contro il tale e talaltro cantante con argomentazioni che al confronto il falò dei fidanzati di Temptation Island è un congresso di neuropsichiatri. Arriva poi il selfie: la redattrice della decadente rivista di musica classica con il presunto direttore artistico di un festival che non c’è più che si fanno i complimenti a vicenda, sostenuti da parenti, amici, vicini di casa e probabilmente c’è anche un like del gatto che rotolando giù dal divano è inciampato sull’iPhone. Qualche nuova nomina, solo cambi di poltroni sulle poltrone, l’annuncio del concerto dell’ennesimo ottimo gruppo di giovani sfruttato dall’associazione musicale di finti mecenati di turno: insomma na roba che mi è presa la nostalgia di quando stavano tutti a fare le sfide all’ultimo capriccio di Rode tanto per tenersi occupati nell’attesa di tempi migliori.
Solo che, ahimé, i tempi migliori sembra proprio che non riescano ad arrivare, anche a giudicare dallo squallore e dalla noia dei contributi social che, uno dopo l’altro, mi erano capitati davanti: una melmetta, come diceva l’inarrivabile Amedeo Baldovino quando voleva fare i complimenti al suono del malcapitato violoncellista di turno, una fanghiglia di sfigatelli adagiati in una pozzanghera di fiera mediocrità, ostentata pateticamente attraverso foto sfocate e locandine storte.

Poi, in un attimo, un lampo, una luce.

Scorrendo, a questo punto provvidenzialmente, la bacheca, atterro su un post di una pagina professionale (oddio una pagina professionale e non un account personale, finalmente) di un compositore giovane, si sta già distinguendo, vero, ma comunque l’età e l’esperienza sono fresche, di un bel color pastello. Già, un compositore: mi sono chiesta tante volte, e mi chiedo tuttora, quanto deve essere stato difficile comporre in questo periodo. Magari l’ispirazione sarà stata più generosa, magari, ma la totale assenza di attività concertistica, solo da poco appena ripresa, chissà quanto avrà pesato anche sull’atteggiamento psicologico di fronte al foglio bianco. Comporre musica è una missione, il gesto che davvero differenzia la musica, altra, da quella che così limitatamente viene definita classica ma che di classico non ha una beata minchia: è arte, è cultura, è, appunto, composizione. Vabbè, comunque, insomma il nostro giovane e profondo compositore si rallegrava di una commissione che gli era stata fatta da un’orchestra anche abbastanza di peso nel panorama italiano: e lo faceva con parole così affettuose, sensibili, spontanee, senza filtri, senza sovrastrutture, felice di questo traguardo e felice di comunicarlo.

Ecco, queste sono le persone che faranno rinascere la musica classica e la trasformeranno in musica d’arte, come dovrebbe essere chiamata in realtà: quelle che si tengono distanti dalle persone, dagli schemi e dai sistemi ammuffiti, quelli che sanno, certamente, come vanno le cose, ma ci planano sopra, le guardano dall’alto e virano in direzione opposta.

Sarà più facile di ciò che crediamo il nostro futuro, il futuro di chi si occupa perché ama la musica classica: basterà iniziare guardando a ciò che è stato fatto negli ultimi 20 anni e decidere di fare esattamente il contrario.

Sic et simpliciter.

© Tiziana Tentoni | 10 settembre 2020