La Musica è l’Aria che respiriamo

Quando si commenta lo stato di difficoltà dei musicisti, ci si concentra, l’ho fatto e lo faccio (e lo continuerò a fare) io per prima, sul disagio economico, sulla riduzione dello stipendio, sulla impossibilità di guadagnare facendo il proprio lavoro.

Ma la più grande ferita per chi ha fatto della musica la propria ragione dell’essere, sta nel non poter compiere, di fatto, l’atto che racchiude le rinunce, lo studio, il totalizzante impegno di tutta un’esistenza.

La vita di un musicista, inizia prima dei 10 anni, quando il talento, i desideri dei propri genitori, la volontà di non deludere, la spinta ad assecondare gli impulsi, portano un bambino ad approcciarsi ad uno strumento. La decisione di quale strumento, è spesso conseguenza di circostanze, un pianoforte in casa, o magari uno zio che suona il violino, un nonno trombettista: insomma, una stella di DNA e, spesso, un sacrificio dei propri genitori, porta a fare il primo passo nei confronti di quella che sarà poi una compagna di vita, la Musica.

La scuola elementare la mattina e poi di corsa a lezione di violino, il tempo di tornare a casa cenare e poi subito a letto, una vita che sin dai primi anni si delinea con due strade parallele: quella che fanno tutti, la scuola, e quella che fai solo tu, e che, crescendo, ti porta a volte anche ad essere guardato con un sorriso dai tuoi compagni di classe: sei strano se suoni uno strumento e, in adolescenza, l’ultima cosa che vuoi è essere visto diverso. Quindi questa passione, questa spinta cozza e lotta giornalmente col sentirti differente: tu lo sai che hai qualcosa che ti distingue ma nessuno sembra capirlo e fai fatica a non dubitarne anche tu.

Poi il liceo e il conservatorio: cioè tutti in gita, tutti a fare casino il pomeriggio a casa dei ragazzi della classe e te? In Conservatorio, a portare avanti altre 10 materie, sapendo che poi però mica è finita, perché quando arrivi a casa la sera devi fare filosofia e matematica e farai le 2 a preparare l’interrogazione perché la prof di italiano mastica male ste due scuole: ma chi ti credi di essere? Non riuscirai a farne neanche una di cosa fatta bene, mi disse la mia, per esempio. Ovviamente la invitai quando, facendo la spalla dell’Orchestra Giovanile Italiana a 23 anni, suonai a Santa Cecilia con Sinopoli che dirigeva: beh sì, la soddisfazione me la sono tolta.

Poi arrivano i corsi di perfezionamento, continuano le 4/5 ore al giorno di scale e arpeggi e l’estate, mentre tutti cazzeggiano in vacanza, te stai alla Chigiana ad analizzare per giorni un accordo, a provare con il pianista anche di notte perché vuoi essere scelta per il concerto finale. E quando poi il corso finisce e arrivi in spiaggia, senti che non hai niente in comune con chi non può capire che tutto ciò non è un sacrificio per te, che tutto ciò non è una cosa strana: è la tua vita.

Ti trasferisci all’estero per perfezionarti, lontano dalla famiglia per seguire la Musica, e non hai un giorno uno di pausa: perché un musicista vero, non si riposa mai. O studia o pensa che avrebbe dovuto studiare di più. Non ci sono fine settimana, non ci sono feste: chi ha a che fare con la musica, studia sempre.

Poi finiti gli studi iniziano le audizioni, l’imperativo di cominciare a lavorare, a guadagnare: e li sono mesi di estraniamento, chiusi a fare passi orchestrali fino a notte fonda per giocarsi un posto di lavoro in 10 minuti.

Alla fine un posto lo vinci, o comunque riesci a strutturarti un’attività da free lance solida: un quartetto, un duo, la carriera solistica. E i sacrifici della vita trovano finalmente il loro compimento nel suonare, nel salire sul palco, nel sentire un applauso, nel condividere la propria energia.

Questo è ciò che ti fa trovare un equilibrio in una vita che di equilibrio tra studio e vita quotidiana non ne ha: perché quanto hai studiato per eseguire 40 minuti di un concerto per violino è una cosa sproporzionata, ha dell’incredibile.
Può essere compreso solo paragonandolo ai grandi gesti dello sport, come il salto con l’asta, forse il gesto più difficile e complesso in assoluto, tecnicamente parlando.

Gli altri pensano, dai che bello che deve essere fare il musicista sempre in giro e tu invece sai che hai sacrificato la normalità per essere diverso, che viaggi certo, ma poi vedi solo le sale, gli alberghi e gli aeroporti e che torni a casa senza riuscire ia portare mezzo regalo perché non c’era tempo e il tempo che c’era dovevi studiare.

Tutto ciò, e molto ma molto altro, c’è dietro alla solitudine di un musicista in questo momento: c’è una parte di se stesso che è troppo lontana, di cui ha bisogno per sentirsi completo e che si cristallizza solo e soltanto quando sale sul palco e ringrazia il pubblico. E abbraccia se stesso.

Ecco anche perché bisogna ricominciare subito a produrre musica e spettacoli: perché i musicisti devono tornare a bagnarsi di quella parte di esistenza che li rende unici e preziosi per la collettività, per la società.

La Musica è come l’aria che respiriamo: non ce ne accorgiamo, ma è grazie a lei che siamo vivi.

© Tiziana Tentoni