La Musica siamo Noi.

Questa sensazione la conosco.

Non è un boato, non esplode, è un rumore di fondo, costante, che non ti permette di distrarti, non ti permette di pensare ad altro: ti sembra di avercela fatta, ma poi ritorni sul pensiero e fa male il doppio.

Lo capisco cosa voglia dire quando, da un momento all’altro, la musica sembra spegnersi. E’ un fruscio, un sibilo, un acufene leggero che non giustifica il lamento perché non fa male, ma logora. Ricorderò sempre quando entrai in sala operatoria per l’operazione al polso e il chirurgo mi chiese: Hai paura? No, ma io suono il violino, vorrei continuare a suonare. E ricordo altrettanto bene che lui non disse niente, il che non era proprio promettente, diciamolo. Un silenzio che mi sono portata dentro anni, decidendo con volontà inconsapevole di non guardare indietro. Ok, avevo suonato, era stato bellissimo, nessuno me lo avrebbe tolto mai e tutta la saga di auto convincimento come da repertorio. Infondo ora inizio solo un’altra vita, no? Sì certo, e come no.

Quando mi chiedevano Ma come fai senza il violino? Io rispondevo Ma figurati! Io sono molto più felice ora! Fiera, sfacciata e molto sicura. Ma non parlavo io, parlava quel silenzio, nascosto bene dal volume di ogni singola sovrastruttura mentale che ci avevo buttato sopra per non sentire, per non pensare, per non rimpiangere, per non stare male.

Poi, col tempo, man mano ho lasciato cadere: un pezzo, poi un altro, finché un giorno, e ricordo benissimo quale e perché, ero in macchina, presi coraggio e misi l’ultimo tempo della 1 di Mahler: e lì, con la ferita aperta, iniziai a medicare. Ci volle parecchio, ma col tempo mi fu chiaro che Il violino e tutta la vita meravigliosa che avevo passato sul palco erano solo una parte di me, non erano tutta me stessa. Io ero oltre, io non ero il violino. Certo, non è che fu proprio una bella sorpresa eh, con molte cose ho fatto e faccio i conti quotidianamente. Ma quella consapevolezza, quella pagina girata che non vedeva l’ora di leggere oltre capii che era solo e soltanto il frutto di ciò che ero stata fino a quel momento. Solo che ora mi lasciava la mano, mi aveva accompagnato fino a quel punto, adesso dovevo continuare sola. E tutto ebbe un senso. Ho ricominciato, o forse cominciato, a sentirmi davvero in partenza, con lo zainetto del mio passato che non pesava più ma che anzi era cibo e acqua per la strada che mi aspettava.

Stiamo vivendo una realtà che non ha definizioni, con i connotati stravolti, tra demoni ed euforie, fluttuanti.

Non riesco a togliermi dalla testa le parole che un mio grande amico musicista ieri sera mi ha detto al telefono: Tiziana, mi sento uno scarto. E lo diceva con una sofferenza composta, sottovoce, un sussurro con la potenza di un grido. Ma quale scarto: voi siete l’anima, voi siete Musicisti.

Tenete duro, fatevi rispettare e rispettatevi.
La musica è lì, seduta accanto a voi, vi tiene una mano sulla spalla sempre, anche ora che per un po’ non potrete più condividerla con gli altri.

Siete voi la musica, ricordatevelo sempre.
E presto vi riabbraccerete, tutti insieme: quanto cazzo vorrei essere lì con voi.

Tiziana
Roma, 16 aprile 2020