Zuckerberg e il metaverso

Mark Zuckerberg annuncia che Facebook si chiamerà Meta e ci presenta il metaverso.

Ci mancava solo il Metaverso.
 
Non che ci sia chissà quale novità dietro: nel 2003, mentre Mark Zuckerberg ancora si nascondeva per non farsi interrogare, Second Life il concetto di altra realtà, anche per fini commerciali, l’aveva già bello che sviluppato.
 
Ma ora, con le costanti sollecitazioni che abbiamo dai continui cambiamenti di scenari del digitale, onestamente alla notizia del Metaverso non so voi ma io ne avrei fatto volentieri a meno.
 

Cosa è il Metaverso?

 
Cosa è? Lo dice il nome, un universo parallelo, un universo composto da dati digitali: Meta-verso, appunto. Facebook stima di investirci 5 miliardi di euro, le grandi aziende si stanno muovendo veloci e le opportunità sono di fronte agli occhi di tutti.
 

Realtà virtuale e realtà aumentata.

 
La realtà virtuale e la realtà aumentata non sono il nostro futuro ma il nostro presente: applicate alla medicina e all’educational, ad esempio, sono enormemente preziose.
 
Ma non dobbiamo mai dimenticare che il digitale, senza gli uomini, non solo non esisterebbe ma non avrebbe il senso che gli spetta: essere funzionale all’essere umano, mai fine a se stesso, sempre con una risultante che possa arricchire, migliorare, anche solo influire sulla nostra vita quotidiana.
 
Penso a Uber, o a Booking e Airbnb, aziende che hanno stravolto, in meglio, la nostra vita, dandoci maggiori possibilità di scelta e facendoci risparmiare tempo da dedicare alla dimensione tangibile, quella vera: il trucco è quello, un 80/20 di Principio di Pareto memoria, proporzione nella quale al 20 che passo sul digitale, 80 recupero di vita vissuta. Se manca un metodo simile, il digitale è dannoso, sta a noi attuarlo.
 

Metaverso e musica classica.

 
Comunque, siccome ogni innovazione è per me riflessione su come applicarla alla musica classica, stagioni concertistiche parallele su Metaverso potrebbero ampliare le opportunità di lavoro, tutto da costruire e da creare, ma da considerare e tenere lì.
 
Il progresso lo considero come una grande casa con tante stanze, non serve abitarle tutte, ne basta anche solo una: ma sapere cosa contengono le altre, fa stare meglio in quella in cui vivi, apri le porte, dai un’occhiata, sai cosa c’è dentro e poi chiudi.
 
Al limite, se ti serve, poi ci torni.