
Tra i compiti più ostici per chi si addentra nel repertorio violinistico, c’è quello di eseguire una delle Fughe di Bach dalle Sonate e Partite per violino solo. Si tratta di 3 composizioni ardue, di impervia decifrazione sia tecnica, essendo poi strumento e arco molto cambiati rispetto al 600/700, sia musicale e contrappuntistica, senza considerare poi anche l’aggravante della lunghezza dei brani, che sottintendono quindi anche una preparazione fisica e psicologica.
A seconda del tipo di carattere di un musicista, ci si approccia con più o meno naturalezza ad un brano del genere, ma chi non ha capacità, e gusti, analitici e chi non ha pazienza, difficilmente riuscirà ad arrivare davvero a capo di queste composizioni: il che non vuol dire esclusivamente suonarle bene, ma anche e soprattutto farle proprie, riuscire se non altro a compiere un percorso senza uscire di strada e senza quindi doversi fermare: importante è definire, e questo me lo insegnò il grandissimo didatta Antonio Salvatore, anche i punti di relax, quelli in cui mollare e recuperare il fiato, per gestirlo poi nella pagina o passaggio successivo.
Adoravo addentrarmi nelle Fughe, e avevo scelto come mia compagna di sventura la Fuga della 2 Sonata in la minore.
L’avevo approcciata inizialmente senza sistema, poi man mano crescendo capii che dovevo frammentaria, risolvere difficoltà per difficoltà, scomporre per poi unire.
E più sarei riuscita a creare dei gruppi di difficoltà e un codice, se non di risoluzione, almeno metodologico, più sarei arrivata vicina a godermi il viaggio: magari non senza buche, o traffico, o errori di tragitto ma se non altro senza ritrovarmi fuori carreggiata col motore fuso.
Questa passione per lo smembramento analitico dei problemi e per l’illusoria ma stimolante ricerca di ordinare il caos, lo ritrovo quando mi accingo a lavorare su un contratto.
Perché, vedete, un contratto è un istituto giuridico antichissimo, se torniamo al diritto romano, ma addirittura ancestrale se invece consideriamo i reperti di epoca sumera, stiamo parlando di oltre 2000 anni prima di Cristo: è quindi una presenza congenita delle nostre vite, dall’etimologia poetica tra l’altro perché deriva da contractus, participio passato di contrahĕre, trarre insieme, riunire. Bello no?
Per questo motivo, dicevo, la mia passione per le Fughe di Bach, l’ho interamente traslata sulla redazione di un contratto, anche grazie al fatto che posso confrontarmi spesso con chi la legge l’ha studiata, avendo una sorella avvocato.
La mia mira è cercare sempre accorpare tutto secondo pochi elementi fondamentali nell’ambito musicale: con chi stipulo il contratto, perché, quanto sarò pagato, quando e secondo quali termini e le tutele che ho nel caso il concerto non si faccia.
La presenza di un contratto determina la serietà e l’affidabilità di chi formula una proposta perché sancisce per iscritto i termini di collaborazione, penali comprese, siano esse vincolanti o possibiliste.
Ecco perché mai bisognerebbe accettare di lavorare senza un contratto: perché, nel caso si verifichino discordanze o problematiche di qualsiasi tipo, possiamo riferirci con facilità agli accordi presi e, in caso di fraintendimenti o circostanze, risolvere in maniera amichevole, differentemente agire legalmente con ogni tutela.
In soldoni: se vi chiamano e vi offrono cifre e condizioni esorbitanti, la prima cose che vi consiglio di fare è prendere nota delle informazioni, scriverle in una mail da indirizzare a chi ci fa la proposta, chiedendo la conferma scritta e la bozza di contratto.
Se conferma e contratto arriveranno, potete stare sereni.
Se tutto tace allora erano solo parole, rifiutate senza rimpianti, avreste lavorato tanto e gratis.
Allora meglio farsi una bella passeggiata.
© Tiziana Tentoni
Roma, 30 giugno 2020